martedì 5 maggio 2009

Ado Furlan 1905-1971. Scultura in Friuli Venezia Giulia. Figure del Novecento

copertina-afurlan

catalogo della mostra a cura di A. Del Puppo, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano), 2005

Il centenario della nascita dello scultore pordenonese Ado Furlan (1905-1971) è stata l’occasione per un’esposizione in tre sedi e un convegno che hanno presentato l’opera contestualizzandola sia a livello regionale che nazionale e offrendo così l’opportunità di un’approfondita riflessione a più ampio raggio.
Fin dall’apertura del saggio introduttivo Alessandro Del Puppo avvisa che, «Uno sguardo sulla produzione scultorea in Friuli Venezia Giulia nella prima metà del Novecento deve, innanzitutto, accantonare complessi d’inferiorità e lamenti su “periferie”, isolamenti e ritardi». Un proposito mantenuto nello svolgimento del testo che presenta in ordine cronologico l’intreccio di committenza, mostre, accademie straniere, solida formazione artigianale e storia che ha portato il Friuli Venezia Giulia ad affrancarsi dall’Ottocento offrendo al Novecento artisti quali Alfonso Canciani, Marcello Mascherini, Afro e Mirko Basaldella. Il sottotitolo, Figure del Novecento, è la declamazione di un intento: analizzare l’ambito specifico della ricerca che esamina prevalentemente i primi cinque decenni del secolo fatti da una scultura fedele alla tradizione figurativa.
Il saggio è anche un’intelligente riflessione sulle esposizioni locali – le Biennali friulane tenute nel 1926 e nel 1928 e le numerose mostre legate al Sindacato Fascista di Belle Arti che - come del resto il loro primo modello, la Biennale di Venezia – relegano la scultura in una posizione ancillare, sia da un punto di vista della scelta dei pezzi che più banalmente dalla mancanza di un adeguato spazio espositivo. Il saggio illustra perfettamente come una libera interpretazione del ritorno all’ordine novecentesco si declinasse per gli scultori friulani – ma non solo, direi – in una ripresa di modelli antichi – dall’Ermafrodito del Louvre e della Galleria Borghese al Canova, scultore dell’italianità neoclassica -  che sottende il recupero della scultura di questi anni e il suo graduale incanalarsi nella retorica di regime, abbinata a una crescente magniloquenza linguistica, portata spesso sino all’ipertrofia nella decorazione architettonica come nei monumenti tout court.
Il saggio cambia registro quando però arriva agli anni trenta animati da Mascherini, Dino e Mirko Basaldella che offrono «i primi segni di un rinnovamento nella coscienza stessa dell’essere scultori». Sono nomi che permettono confronti di più profondo respiro: Dino è a Roma già dal 1934 e qui è a stretto contatto con Arturo Martini lo scultore a cui Lionello Venturi ha dedicato un articolo sul “L’arte” del 1930 e che nel 1931 vince la Quadriennale. Non è possibile infatti prescindere la carriera dello scultore trevigiano con le soluzioni dei due fratelli Basaldella che, come nota il curatore, ebbero sempre un dialogo talmente serrato da divenire gli interpreti più liberi e originali del linguaggio martiniano.
Il catalogo è completato da schede  - affidate a giovani studiosi che hanno avuto l’opportunità di occuparsi specificamente degli autori dei singoli pezzi -  per altrettante opere da cui emerge un’approfondita ricerca. Sono puntuali alcuni confronti come quello che abbina l’Icaro caduto (Icaro portato dalle onde) di Luigi De Paoli (1894c.) all’Abele morente (1842-1851) di Giovanni Duprè o ancora il ritratto di Oskar Brunner (1925) di Luigi Spazzapan che occhieggia le deformazioni dell’Antigrazioso di Umberto Bocioni (Gnam, Roma, 1912)

Scultura in Friuli Venezia Giulia permette dunque di fare il punto sulle figure che hanno costituito la storia della scultura in Friuli Venezia Giulia nel secolo scorso: l’abbandono – nemmeno troppo repentino - dell’Ottocento con Luigi De Paoli e Alfonso Canciani; le assidue presenze a cantieri monumentali, cimiteriali come solerti a una committenza privata come Aurelio Mistruzzi, Silvio Olivo o Ugo Carrà e alcune figure di recente recupero critico come Ruggero Rovan, Franco Asco, Mario Ceconi di Montececon e naturalmente Ado Furlan. Infine la ricerca si è concentrata sui tre autori di rilievo: Dino e Mirko Basaldella e Marcello Mascherini.
La mostra e catalogo si chiudono con due facce della stessa medaglia: scultori friulani che hanno scelto la provincia come Mario Sartoni con le sue figure femminile alla rincorsa di Libero Andreotti o Franco Brunetta che rifiuta il linguaggio arcaista proposto da Martini e preferisce il tono intimistico anche nella scelta dei soggetti o Darmo Brusini, assidua presenza alle mostre sindacali regionali, che opta per una idealizzazione dei propri soggetti. Dall’altra i fratelli Basaldella e Marcello Mascherini, capaci di un dialogo internazionale. Ne è la prova il Totem di Mirko (di collezione privata romana del 1956) che dopo l’apice neocubista delle Fosse Ardeatine (1950-1951) medita su forme graficamente serrate, spinte verso l’arabesco e l’oreficeria. Ricerche coeve infatti spingevano H. Moore a elaborare forme organiche negli Upright motivies che datano dal 1954. E la critica premia la scelta di Mirko che vince la Biennale di Scultura di Carrara del 1957 con Motivo ancestrale e presenta steli totemiche della seconda metà degli anni cinquanta alla Biennale del 1960.
Cristina Beltrami